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a cura del Ministero per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione

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La bellezza salverà pure il mondo, ma riuscirà la "valutazione delle performance" a salvare l'Italia?

Palazzo dei Congressi | Roma, 27 Maggio, 2014 | 15:00

Condurre correttamente la valutazione delle politiche pubbliche e delle prestazioni amministrative, non garantisce l’accettazione politica e culturale dell’informazione valutativa né la sua integrazione nei processi decisionali e di gestione, come esercizio di responsabilità pubblica e incentivo all’apprendimento. Non è neanche realistico attendersi a breve in Italia un cambiamento immediato delle politiche, del merito e delle pratiche amministrative come effetto dei suggerimenti valutativi. La complessità dei processi decisionali non permette di isolare il contributo della valutazione, soprattutto, quando questa è un insieme di approcci, metodi e tecniche attraverso cui si generano informazioni eterogenee (es. monitoraggio, controllo finanziario, misurazione di performance, impatto dei programmi, ecc). Il vero problema è di natura culturale: il politico deve essere aperto a capire come, dove e perché i programmi funzionano o meno e il valutatore (e/o il dirigente), è chiamato a dire la verità al potere - speak truth to power (Wildawsky) - senza ipocrisie retoriche autointeressate a favore dello status quo.

Il ciclo delle performance e la connessa valutazione funzionano se concepiti come una politica, e cioè come una serie di interventi intenzionali (processi, strumenti) per trattare problemi. Il miglioramento della produttività, della qualità e dell’utilità della p.a., che si auspica di ottenere per il Paese con la valutazione, sarà veramente strumento per la crescita e l’innovazione solo se condotto in modo democratico, mobilitando le risorse degli amministratori, dei cittadini e delle imprese.